I Falsi Protocolli. Il 'complotto ebraico' dalla Russia di Nicola II ai giorni nostri by Sergio Romano

I Falsi Protocolli. Il 'complotto ebraico' dalla Russia di Nicola II ai giorni nostri by Sergio Romano

autore:Sergio Romano
La lingua: ita
Format: azw3, epub
pubblicato: 2015-03-13T23:00:00+00:00


Antisionismo sovietico

e antisemitismo russo

L’appoggio dell’URSS alla campagna «antisionista» dei paesi arabi si spiega in parte con la politica sovietica in Medio Oriente. Nel 1948, quando la nascita di Israele metteva in imbarazzo la Gran Bretagna e pregiudicava il suo ruolo imperiale fra gli arabi, l’URSS votò per la creazione dello Stato e fu obiettivamente sionista. Più tardi, quando le élite nazionaliste in Egitto, in Iraq e altrove, parvero a Mosca utili alleati contro l’«imperialismo» occidentale, l’URSS non esitò a schierarsi con esse su posizioni antisioniste. Ma non lo avrebbe fatto con tanto entusiasmo e tale convinzione se l’antisionismo non fosse divenuto nel frattempo un tema ricorrente della sua politica interna.

Antisemita fu certamente Stalin che della giudeofobia aveva acquisito gli umori e i tic, probabilmente, sin dagli anni in cui era giovane seminarista a Tiflis. Si racconta che soltanto di fronte a Kaganovič, vecchio collaboratore negli anni del terrore e della ricostruzione di Mosca, egli si astenesse dal raccontare storielle antiebraiche. Non sappiamo quale importanza attribuisse ai Protocolli, ma che egli credesse nell’esistenza di una Internazionale ebraica è dimostrato, a contrario, dal modo in cui trattò gli ebrei russi durante e dopo la guerra. Durante la guerra cercò di servirsene per mezzo di un «Comitato antifascista ebraico» di cui facevano parte, fra gli altri, un grande attore, Solomon Michoels, un grande regista cinematografico, Sergej Ejzenštejn, un pubblicista famoso, Il’ja Erenburg, un violinista di fama internazionale, David Ojstrach, medici, generali, scienziati e la moglie ebrea di Molotov, Polina Žemčuzina. Un giornalista israeliano, Louis Rapoport, autore di La guerra di Stalin contro gli ebrei, ricorda che «il compito più importante del comitato era quello di aiutare lo sforzo propagandistico sovietico all’estero per l’apertura di un secondo fronte e di fare appello agli ebrei di tutto il mondo perché sostenessero l’URSS contro il nemico comune».

Ma con la fine del conflitto e lo scoppio della guerra fredda Stalin cambiò bruscamente politica, sciolse il comitato e decise con ogni probabilità la morte di Michoels che era divenuto, grazie alla sua straordinaria popolarità, il leader delle comunità ebraiche in Unione Sovietica. Gli ebrei gli erano stati utili finché il regime aveva bisogno dell’Occidente; diventavano inutili, anzi pericolosi, nel momento in cui esso voltava le spalle al mondo. Se Stalin non fosse morto improvvisamente il 5 marzo del 1953 l’URSS, probabilmente, sarebbe stata teatro di un pogrom moderno e diabolicamente geniale. I Protocolli, come sappiamo, avevano permesso di imputare agli ebrei guerre, rivoluzioni, carestie e collassi finanziari, ma non attentati alla salute dell’umanità. Anche se un cenno in questo senso può leggersi nel discorso del rabbino Reichorn, ricucito con pezzi del «racconto gotico» di Goedsche («Un medico è iniziato ai più intimi segreti della famiglia ed ha come tale fra le mani la salute e la vita dei nostri mortali nemici, i cristiani»), questo vizio è uno dei pochi che i falsari non abbiano addebitato agli ebrei. Stalin colmò la lacuna attribuendo a un gruppo di medici, prevalentemente ebrei, un complotto che avrebbe decapitato l’URSS della sua dirigenza e assoggettato l’intero paese a una sorta di «ricatto sanitario».



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